Venerdì la sezione tarantina della Corte d'appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado nel processo denominato “Ambiente venduto”, riguardante presunte irregolarità nel controllo ambientale dell'ex stabilimento Ilva di Taranto. Non c'è stata sentenza: una volta concluse le udienze del processo d'appello, il giudice Antonio Del Coco ha accolto con ordinanza la richiesta di trasferimento del processo a Potenza avanzata dai difensori, che avevano invocato quello che in gergo giuridico si chiama legittimo sospetto (” legittimo sospetto”): secondo i legali, i giudici di Taranto, sia i magistrati che la giuria popolare, sarebbero stati a loro volta “parti offese” dal presunto disastro ambientale e, quindi, potenzialmente vittime dei reati su cui avevano indagato hanno espresso non disponeva di sufficiente libertà di giudizio. Le motivazioni dell'ordinanza saranno depositate entro 15 giorni.
Il giudice ha disposto il trasferimento degli atti alla procura di Potenza, in Basilicata, dove riprenderà il processo. Nel maggio 2021 sono state condannate 26 persone, tra cui gli ex proprietari e direttori delle acciaierie Fabio e Nicola Riva (rispettivamente a 22 e 20 anni di carcere); l'ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola (a 3 anni e mezzo), e l'ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido (a 3 anni). «L'inquinamento era un'invenzione? Le morti e le malattie sono senza responsabilità? Questa non è giustizia”, ha commentato il deputato di Alleanza Verde e Sinistra, Angelo Bonelli. Anche attivisti e sindacati hanno commentato molto negativamente l'annullamento della sentenza.
L’ex ILVA è in crisi da anni e nell’ultimo periodo ha fermato quasi del tutto la produzione, ma il governo vuole evitarne la chiusura perché avrebbe costi sociali ed economici altissimi: la sola azienda impiega circa 10.500 dipendenti, ma sin dalla sua fondazione funzionamento, dipende anche da molte altre aziende alle quali affida lavori non direttamente legati alla produzione dell’acciaio. A luglio la Commissione Europea ha approvato il “prestito ponte” da 320 milioni di euro che il governo italiano voleva concedere ad Acciaierie d'Italia, la società che gestisce l'impianto.
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